Main fundraiser photo

Rivedere la famiglia dopo 14 anni

Donation protected
Ciao, ben trovate e ben trovati.

Siamo Simone e Francesca, lui attivista per la libertà di movimento al fianco delle persone migranti richiedenti asilo, lei musicista Jazz. Stiamo facendo una raccolta fondi per aiutare Betty e suo figlio E. a fare un viaggio questa prossima estate, per ritrovarsi con la famiglia che lei non vede da 14 anni e lui, il piccolo, non ha mai conosciuto.

Come la maggior parte delle persone migranti richiedenti asilo, anche Betty, in Italia dal 2011 per provare a vivere una vita qualitativamente migliore, affronta le difficoltà di un permanente stato di incertezza per i suoi documenti di soggiorno, e di un lavoro povero, ricatto sociale per il rinnovo del suo permesso, che la obbliga in una condizione di precarietà e progressivo indebolimento fisico e emotivo. Come tanti, anche lei è costretta alla lontananza dalle persone a lei più care.

Francesca l'ha conosciuta lo scorso anno, e vedendola in difficoltà, più di tutto triste, una volta diventate amiche la presentava a Simone, che fa volontariato per lo sportello legale Diritti in Movimento presso Spin Time a Roma. Una volta capito che la sofferenza di Betty nasceva dalla sua incapacità di organizzare un viaggio per tornare in Nigeria e incontrare la famiglia, lo sportello, Simone e Francesca decidevano di aiutarla a raccogliere i fondi necessari, che tra viaggio e costi della permanenza per due persone sono circa 2500 euro.

L'arte, che è anche emancipazione, riscatto e crescita personale, gioca un ruolo importante in questo progetto, e con la sua musica Francesca è già riuscita a raccogliere 500 euro. Un altro concerto e una cena artistica solidale seguiranno.

Quando si uniscono le forze e si fa insieme, con poco si fa tanto. E quando oltre ad un impegno ragionevolmente minimo c'è anche un riscontro immediato, di gratitudine ma anche di reciprocità, la gioia la fa da padrona e a catena ne chiama altra.

Betty e E. vogliono poter andare in Nigeria da metà Giugno a fine Agosto 2025, durante la pausa estiva dalla scuola elementare che frequenta E. Incontreranno la mamma di Betty, sola e molto malata, la figlia dalla quale Betty è stata separata quando la piccola aveva 3 anni, e il bimbo neonato di quest'ultima.

Aiutateci se potete a realizzare questo grande obiettivo. Noi vi promettiamo di esserci e di condividere con voi arte e gioia.


Per chi volesse saperne di più, segue in breve la storia di Betty:

Betty è in Italia dal 2008. Ci arrivava dopo un anno di viaggio dallo Stato di Edo, in Nigeria. Lei era nata nel 1979 poco più a sud nello Stato di Delta, dove trascorreva i suoi primi 19 anni. La sua famiglia era estremamente povera, e questo non le permetteva di andare a scuola. Il papà moriva quando lei era adolescente, e la mamma da quel momento entrava in una severa depressione, costringendo Betty a dedicarsi totalmente alla sua cura. A 20 anni lasciava la casa materna per andare a vivere a Edo con un uomo che sotto inganno le prometteva di restituirle una vita, ma finiva per abusare di lei sessualmente, mettendola incinta nel 2000 per poi portarle via la figlia a 3 anni e lasciare Betty fuori di casa. Separata con la forza dalla figlia, Betty rimaneva sola tra strada e ospitalità informali, lontano dalla madre, non potendo rientrare nello Stato di Delta per paura che anche lì le sarebbe continuato a mancare un futuro. Stava tanto male da maturare pensieri suicida. Dopo anni di fatica e difficoltà Betty accettava il suggerimento di un conoscente di affidarsi a chi l’avrebbe potuta portare in Europa.

Il viaggio, per lei che già subiva abuso e soggiogamento da più piccola, era un alienante groviglio di forzata compassione e appiccicosa estorsione esercitate dalla rete organizzata del traffico. Betty non veniva mai imprigionata dalle milizie, quelle milizie che l’instabilità geopolitica di oggi vede lottare impunemente per imprigionare e comprare i corpi delle persone migranti e le risorse naturali lungo le rotte migratorie. Ma trovava la strada, tanto in Niger quanto in Libia, come quella che si era trovata ad affrontare nel paese di nascita. Forzata compassione, si diceva, perché a lei tanto povera e priva di legami, i trafficanti di esseri umani non chiedevano soldi. Cercavano però di estorcerle una schiavitù sessuale, proponendole di alloggiare in case chiuse, sotto la protezione di donne come lei, anche loro Nigeriane, ma un po’ meno pacifiche, un po’ meno innocenti. Betty aveva la forza e la fortuna di potersi rifiutare di vendere il suo corpo. E i trafficanti la lasciavano proseguire, fino al mare Mediterraneo, fino alla barca di lamiera che il giorno prima aveva visto mettere insieme con i chiodi e il giorno dopo era diventata la sua ancora, a notte fonda, senza dare nell’occhio, perché lei non aveva pagato, dopo che tutte le altre persone erano salite. In 60, su una barchetta di 8 metri per 3.

E da qui in poi, nonostante la sua storia, lo stupore bello, solleticato da tante prime volte. La prima volta di un letto comodo sulla nave di salvataggio di Save the Children che le e li raccoglieva dal mare naufraghi 30 ore dopo la partenza, quando il capitano aveva perso la strada e la speranza era poca. E lei felice e rassicurata, improvvisamente colma di coraggio. La prima volta che vedeva uomini del Gambia, così scuri. La prima volta di un buon piatto di pollo, come non ne aveva mai mangiato, una volta sbarcati a Lampedusa.

Betty passava un anno, dal 2008 al 2009 in un centro di accoglienza a Salinagrande (Trapani). Come nella stragrande maggioranza dei casi anche oggi, non le veniva offerto un progetto di integrazione, tanto che le condizioni dell’accoglienza non le permettevano neppure di imparare a pieno la lingua italiana, che ancora oggi capisce bene ma parla molto poco. Rigettata in prima istanza dalla Commissione territoriale di Trapani, si vedeva subito revocare l’accoglienza in CAS e, allontanata, si recava a Roma. Vi rimaneva nella ‘irregolarità’ formale, sulle sue spalle una istanza di rigetto e il pericolo della detenzione e del rimpatrio forzato, fino al 2011, lavorando con conoscenti nella rivendita di abiti comprati al porto di Napoli. Solo nel 2011 scopriva che avrebbe potuto fare ricorso contro il diniego e quindi provava a presentare una nuova domanda, venendo chiamata a tornare a Salinagrande a colloquio con la stessa Commissione che in prima istanza aveva deciso che Betty non meritava protezione. Questa volta, due lunghi anni dopo, otteneva la protezione umanitaria e il permesso cartaceo nel 2014. 6 anni di attesa per regolarizzarsi e poter vivere, perché la scelta di viaggiare in cerca di opportunità di vita, per le nostre istituzioni, non è un diritto. La forma di protezione ‘assegnata’ a Betty, l’‘umanitaria’, oggi non esiste più. L’ha eliminata il Decreto Sicurezza Salvini, che invita il sistema a negare alle persone richiedenti asilo la facoltà di raccontarsi e essere difesi e curati per i loro patimenti. Perché non ci interessa più conoscere la storia delle persone in arrivo, quella per cui meritano protezione e accoglienza.

Da quell’ormai lontano 2014 cominciava la storia di Betty donna indipendente, ‘regolare’, lavoratrice autonoma. Ma anche per lei il rinnovo del permesso di soggiorno doveva essere un ricatto sociale. Non riusciva infatti a trovare un lavoro dipendente regolarmente contrattualizzato, ed era inizialmente costretta ad accettare lavori semplici nel settore della cura, in nero. In tempo per il primo rinnovo, nel 2016 apriva partita IVA per poter risultare lavoratrice indipendente e ottenere così un nuovo permesso di soggiorno. Da quel momento si dedica esclusivamente all’attività di acquisto e rivendita di merci provenienti dai grandi mercati e dall’ingrosso, specialmente il porto di Napoli, come i tanti capi di abbigliamento che le multinazionali commissionano alle fabbriche e non vendono, lasciandoli alla distribuzione ‘informale’. Ne trae ancora oggi a sufficienza per sopravvivere con suo figlio. Nel 2017 diventava nuovamente mamma. Ma questa volta era il padre del bimbo a lasciare loro due soli. Mamma sola Betty entrava in agitazione e per compensare lo stress psichico sviluppava un desiderio insaziabile per il cibo che la portava all’obesità. Lei e il suo piccolo hanno più volte cambiato casa da allora, rimanendo sempre lontani dal centro città, come chiunque sia destituito e marginalizzato dalla nostra struttura socio-economica. Oggi vivono in un quartiere periferico di Roma a 20 chilometri dal centro città, due ore di distanza nelle ore di punta. La casa è affittata a suo nome, ma ci abitano in 4, perchè il costo dell’affitto sarebbe altrimenti troppo oneroso, impraticabile.

Una vita semplice ai margini, fatta come per tante persone di grandi limitazioni, difficoltà e sacrifici. Betty si racconta piangendo, ma non tanto per sé, quanto per le innumerevoli persone che in Nigeria sono tanto più povere, e hanno fame. Dopo 14 anni di assenza le vorrebbe andare a trovare. La sua mamma ha un cancro che le sarà difficile sopravvivere a lungo, e sua figlia, con la quale è riuscita a riallacciare rapporti a distanza, ha un bebè di qualche mese.

Vuole andare a trovare loro, ma non può permettersi i costi del viaggio. Vuole andarci anche per portare un po’ di sollievo, del cibo a famiglia e conoscenti. Ci chiede di aiutarla a organizzare il viaggio. Desidera rimanere per due mesi, e alloggiare a Lagos, la capitale, per non dover tornare al villaggio dove è cresciuta. Non se la sente.
Donate

Donations 

    Donate

    Organizer

    Simone Papa
    Organizer
    Rome, LZ

    Your easy, powerful, and trusted home for help

    • Easy

      Donate quickly and easily

    • Powerful

      Send help right to the people and causes you care about

    • Trusted

      Your donation is protected by the GoFundMe Giving Guarantee