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Per mamma, per noi

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Mamma non avrebbe mai voluto chiedessi qualcosa di simile, lo so. Odiava essere aiutata ed amava aiutare. E se tante, troppe cose le ho prese da lei, questo no. Mamma era - semplicemente - la famiglia. Teneva insieme tutto, casa, me, papà, ogni cosa. Il collante, la vita, il colore e tutti quei "copriti, cretino, che fa freddo" mentre uscivo fuori. Era tutto. E dire il contrario sarebbe renderle un'ingiustizia. Però, oltre ciò, mamma era anche il motore economico che ci trascinava oltre l'ostacolo. Con me disoccupato da gennaio (e conseguente stagione di animazione turistica saltata causa Covid-19) e con mio padre che brancola fra mutuo da pagare ancora fino ai 78 anni (ne ha attualmente quasi 59), rate della macchina presa lo scorso anno con mamma e vari piccoli prestiti per coprire tutte le uscite di bollette e vari, mi trovo costretto a far qualcosa che mia madre non vorrebbe mai. Io, in quanto Mattia, chiedo aiuto. Non credo nell'orgoglio, bensì nel pragmatismo, specialmente in un momento in cui vorrei semplicemente essere in grado di concentrarmi sul buco orribile che la scomparsa di mamma porta via con sé. Mamma se n'è andata di cancro, senza scoprirlo, siccome era entrata in ospedale solamente 5 giorni prima e rimanendo lucida fino alla fine, seppur convinta stesse guarendo da qualche calcolo e poco più. Non posso negarlo, mi do un mare di colpe. Un mare di "e se". Un mare di "e se avessi notato prima quei segnali, quella tosse flebile, ma che da un mese non se ne andava?" od "e se avessi avuto il coraggio di dirle quel che ho temuto, poco più di due settimane prima che se ne andasse? Se l'avessimo preso in tempo?". Mi distrugge, non lo nego ed è una croce che mi porterò addosso a vita. Così come per sempre, per fortuna o per sfortuna, l'ultima immagine che avrò di lei ero io, mentre usciva per andare in clinica, totalmente sulle sue gambe, in piedi, con una mia mano a passare sulle sue spalle ed a ricordarle come fossimo sicuri andasse e sarebbe andato tutto bene. Così non è andata. Perciò, mamma, mi prendo una responsabilità. Non mi avresti mai voluto vedere elemosinare, mai. Ma mi prendo le mie responsabilità, perché so anche che non ci avresti mai voluto lasciare a soli 58 anni, senza alcun preavviso. Mi prendo la responsabilità io di far la figura di merda, mi prendo la responsabilità io di perdere quel poco di orgoglio che poteva rimanere e di chiedere aiuto. Di mandarci qualcosa almeno a cercare di coprire alcune delle spese, almeno a salvaguardarci mentre io cerco lavoro e papà cerca di far tornare i conti, mentre il terrore mi assale fino alle radici del mio cuore. Ho paura, ma specialmente preferirei riavere mamma anziché scrivere un qualcosa di simile. Non volevo questo. Volevo mamma. Ma devo accettare e sperare ci sia qualcosa oltre. Ho paura di rimanere inghiottito da tutto ciò. Ho paura i debiti finiranno di divorarci. Ho paura che papà ed io non ce la faremo. Mamma, non ci avresti mai lasciati a noi stessi, sai che siamo due pippe al sugo. Non sappiamo come si viva senza di te, lui dopo 30 anni ed io dopo 24. Chiedo con l'umiltà più assoluto una mano. Anche fosse di centesimi, un euro, qualsiasi cosa. Chiedo perdono per la figura che farò, chiedo scusa a mamma se questa cosa ovunque potrebbe essere le farebbe alzare gli occhi al cielo e chiamarmi "pirla". Chiedo aiuto, sapendo che bisogna avere il coraggio di chiedere aiuto quando si ha bisogno. Chiedo scusa se non sarò mai una persona come mamma. Perché non ho mai visto tanto amore per qualcuno come quello che sta venendo espresso in questi giorni, per lei. E posso solo sognare di andarmene con così tante lacrime di altri, con così tanti ricordi di una persona di una generosità che mi fa tremare. Era tutto. E scusa, mamma, per tutte le preoccupazioni che ti ho dato. Scusa. Lascio un pensiero. Spero sarai indimenticabile ed indimenticata non solo nel mio cuore, ma in quello di ogni persona che abbia avuto l'incredibile fortuna di conoscerti. Perché io son stato un privilegiato ad averti: Sembra un momento, un botto, una ventata, un battito di ciglia. È arrivata la morte. E tu non ci sei più. È la morte che non t'avverte e neanche gliene frega niente di quanto eri piccola, di quanto eri fragile. Ci ha decapitato quest'amore e, da quel momento, non mi ha permesso più di esser figlio. Quando sei morta, ma', eravamo piccoli sia io che te. Io ventiquattro e tu cinquantotto. Che grande ingiustizia è stata. Ora che tocca a me godermi il tuo tempo, te ne sei andata via. E sì, perché quando sei piccolo ti si gode la mamma e da grande dovresti godertela tu. Doveva vedere nascere i nipoti, i pranzi della domenica, le feste comandate: "Hey, a ma', mi potresti tenere i bambini?" - "E che me lo devi chiedere?". Tutto questo l'infame non ce l'ha permesso. E non ti ha permesso nemmeno di vedermi crescere e realizzarmi. A ma', vogliamo fare una cosa? Una bella cosa stasera, solo per stasera, facciamo finta che non sia successo niente. Che questo 24 ottobre non ci sia mai stato. E che tu sia qui fra vent'anni. Una bella ottantenne, con i capelli cacio e pepe, con quel sorriso con cui adoravi prendermi in giro. Ti vedo lì, seduta accanto a qualche signora, con la mantella e la borsa sulle gambe. Preoccupata. Come quando andavo a scuola. E tu ridi, ridi, ridi e pensi, guardando quella donna: "Quello, cara signora, è mio figlio. E sì che me ne ha date di preoccupazioni. Ma adesso mi ripaga con 'ste grandi soddisfazioni. E ora, posso morire in pace, cara signora. Che vedo mio figlio realizzato, con la sua famiglia, e non più a lottare per un sei in pagella".
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